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Perché gli aerei volano

aereoVoglio riproporre qui su Wirgilio un articolo che ho scritto la settimana scorsa per Leganerd, sistemandolo in base ai commenti che mi sono stati fatti.

La storia del motivo per cui gli aerei volino sembra abbastanza semplice quando ci viene raccontata, tant’è vero che fin da piccolo sono sempre stato convinto di capire cosa mi veniva spiegato. Enciclopedia, siti web, programmi televisivi… tutti cercano di spiegare il fenomeno del volo utilizzando sempre le stesse storie e gli stessi esempi. Col passare del tempo e l’avanzare degli studi scolastici, ogni volta che tornavo sull’argomento mi rendevo conto che prima di allora non avevo capito proprio nulla, e oggi che sto per terminare i miei studi di Ingegneria Aerospaziale, voglio provare a raccontarvi, con molti esempi e poche formule, la storia e la teoria del volo.

Questione di equilibrio

Per prima cosa, osserviamo l’immagine seguente che ci mostra quali sono le forze in gioco su un aereo che vola in condizioni di crociera.

equilibrio

In questa fase del volo l’aereo ha una velocità costante, per cui non devono essere presenti forze non equilibrate su di esso (stiamo tralasciando le perturbazioni atmosferiche).

L’aereo è soggetto a quattro forze, due verticali e due orizzontali che si compensano a vicenda:

  • Orizzontalmente la spinta dei motori bilancia la resistenza aerodinamica (per intenderci, quella che si manifesta mettendo una mano fuori dal finestrino);
  • Verticalmente la portanza generata dalle ali bilancia la forza peso, permettendo all’aereo di volare.

Lo scopo di questo articolo è investigare appunto sulla genesi della portanza.

Historia magistra vitae

I primi ad accorgersi che dall’interazione con l’aria fosse possibile generare una forza verticale furono i Cinesi, che più di duemila anni fa realizzarono i primi aquiloni di carta. Certo non si può dire che i Cinesi sapessero esattamente cosa stessero facendo, ma un buon osservatore sarebbe potuto arrivare all’idea di un aquilone già notando il moto delle foglie sollevate dal vento.

Uno a cui piaceva davvero molto osservare la natura fu un certo… Leonardo da Vinci, che tra le sue svariate passioni aveva anche quella del volo.
Leonardo aveva un sogno, che è stato il sogno di molte persone per centinaia di anni: volare.
Ma Leonardo non era un semplice sognatore, se fosse vivo oggi lo definiremmo un vero e proprio Ingegnere, e come dimostrano i suoi progetti spese molte delle sue forze nel tentare di costruire una macchina che permettesse all’uomo di volare.leonardo
Nel suo Codice sul volo degli uccelli egli fece impressionanti scoperte a partire da semplici osservazioni degli uccelli, e siamo appena nel 1505.

Le conclusioni di Leonardo furono però tristi per il suo sogno, dato che secondo i suoi calcoli una macchina alimentata anche contemporaneamente da braccia e gambe, non avrebbe comunque avuto potenza sufficiente per alzarsi in volo. Non so dire se i suoi calcoli fossero sbagliati, ma di certo lo era la direzione in cui si sviluppava la sua idea di una macchina volante, che cercava di emulare l’unico essere volante che poteva osservare a suo tempo, l’uccello.

Oggi, come dimostra il MIT Daedalus, il volo alimentato dal corpo umano è possibile, ma è necessario che il velivolo abbia caratteristiche ben diverse da quelle di un uccello.

A peggiorare le cose ci fu il Grande e Potente Newton, che «dimostrò» l’impossibilità del volo calcolando la portanza generata da una lastra piana inclinata rispetto a un flusso d’aria.

lastra

L’idea non era male: se il peso di un uomo che fa surf può essere sorretto da una tavola che naviga inclinata sopra un flusso d’acqua, qualcosa del genere doveva accadere anche nell’aria.
Partendo da quest’idea Newton generò la prima teoria matematica che descriveva portanza e resistenza.

La sua grande intuizione fu quella di capire che la portanza dipendeva direttamente dalla densità del flusso e dal quadrato della velocità: il problema è che la densità dell’acqua è mille volte superiore a quella dell’aria e la formula di Newton mostrava come fosse necessaria una velocità di 1000 km/h per sostenere in volo un essere umano, rendendolo di fatto impossibile.

Apparentemente gli uccelli non sembravano essere d’accordo con la teoria di Newton, riuscendo a percorrere lunghe distanze in planata senza mai sbattere le ali.
Ma del resto si sà, il calabrone vola senza sapere di non poter volare…

flap

Tutto ciò non fece altro che ritardare la nascita del primo aereo. Nessuno avrebbe contestato la teoria di Newton, eppure i suoi calcoli erano errati, dato che la formula da lui trovata sottostimava (e di brutto) la forza di portanza.

Non che la sua formula fosse sbagliata, ma era sbagliato pensare di realizzare un aereo con delle ali costituite da semplici lastre piane. Come vedremo più avanti, un elemento chiave nella generazione della forza di portanza è infatti la curvatura.

Tutti sanno che l’aereo è stato inventato dai Fratelli Wright, ma non tutti sanno che prima di loro altre persone erano riuscite ad effettuare dei brevi e primitivi voli.
Al giorno d’oggi chi cerca nuove emozioni fa Bungee jumping, Otto Lilienthal si dilettava invece lanciandosi da una collinetta artificiale con degli alianti fatti in casa! I suoi numerosissimi voli gettarono le basi per la costruzione del primo velivolo motorizzato, dando vita a una grande vastità di dati e diagrammi descriventi il volo che gli costarono purtroppo la vita.

Egli morì infatti cadendo da uno dei suoi alianti, a causa di uno stallo, durante uno dei suoi voli.

North of Big Kill Devil Hill, North Carolina

Era una fredda mattinata del 17 dicembre 1903.
Wilbur e Orville, dopo dieci anni passati a progettare e riparare biciclette nella loro officina, stavano per segnare la storia con una delle invenzioni che avrebbero rivoluzionato il mondo.

Avevano studiato molto il materiale di aeronautica a disposizione all’epoca, materiale che era stato prodotto da persone come Otto Lilienthal. A differenza dei loro predecessori i due fratelli credettero che la chiave del successo di un velivolo non fosse il sistema di propulsione, bensì il suo sistema di controllo.
Così, costruirono una primordiale galleria del vento e misero a punto un aliante che fosse in grado di inclinarsi lateralmente proprio come faceva un uccello (o una bicicletta). Non esistevano ancora gli alettoni e l’idea fu quella di svergolare l’ala deformandola con cavi e tiranti.

fly

Il risultato dei loro studi in galleria fu un aliante con le ali dal profilo curvo, che generavano molta più portanza delle equivalenti ali piane e che poteva essere governato mediante un complicato sistema di cavi e tiranti.

Il pilota non era comodamente seduto in una cabina con un paio di cuffie in testa, ma era sdraiato verso terra e con braccia e gambe doveva governare il sistema di cavi.

Sono le 10 e 35, e sono passati tre giorni dal precedente tentativo di far volare il Flyer, nome di fantasia scelto dai due fratelli per il proprio velivolo. La sorte ha voluto che fosse Orville il primo a volare, esprimendo la propria preferenza con il lancio di una moneta.

Il motore da 12 cavalli progettato dai due fratelli e montato sul Flyer era in moto. È in questo momento che Orville, dopo una breve fase di rullaggio, si solleva in volo per 12 secondi, percorrendo una distanza di 36 metri ed entrando nella storia come il primo volo controllato a motore.

Come fece a volare?

L’aereo dei fratelli Wright, così come tutti gli alianti costruiti dai loro predecessori, sono stati costruiti sulla base dell’esperienza.

Otto Lilienthal sperimentò con la sua stessa pelle, Wilbur e Orville costruirono invece una galleria del vento. Nessuno però, prima del 1920, era in grado di spiegare quale fosse la fenomenologia fisica che permettesse agli aerei di mantenersi in volo.

Può sembrare paradossale pensare di costruire e perfezionare qualcosa senza sapere come essa realmente funzioni, ma in realtà sono molti gli ambiti di sviluppo in cui è l’esperienza a farla da padrona, e il settore aeronautico è proprio tra questi.

Per cercare di spiegare il fenomeno del volo seguiremo un percorso ben preciso. Prima cercheremo di capire cosa accade da due punti di vista differenti, che sono la Teoria Globale e il Teorema di Bernoulli, successivamente vedremo come queste due teorie si fondono nella Teoria del filetto portante di Prandtl.

La Teoria Globale del Volo

La teoria dell’aerodinamica può essere compresa a più livelli, che cercheremo di affrontare partendo dal più semplice: la cosiddetta Teoria Globale.

Questa teoria può essere facilmente espressa mediante il principio sacrificale:

Se non vuoi cadere giù, butta giù qualcos’altro

Comprendere questo principio è molto semplice se si pensa al nuoto.
Quando nuotiamo, per tenerci a galla, muoviamo braccia e gambe in modo da spingere acqua verso il basso.

Per il Principio di Azione e Reazione spingendo l’acqua verso il basso riceviamo una spinta uguale e contraria che ci permette di contrastare la forza peso (che in acqua risulta già ridotta dalla Spinta Archimedea).

Gli aerei (e ancora di più gli uccelli) fanno qualcosa di molto simile.
È possibile immaginare l’intero aereo come un grande tubo orizzontale con la bocca rivolta verso la corrente d’aria.
La parte posteriore del tubo va immaginata come se fosse piegata leggermente verso il basso.

globale

Nel moto di avanzamento del tubo, l’aria che entra viene deviata e spinta verso il basso. Come reazione contraria il tubo riceve una spinta verso l’alto proporzionale a quanta aria ha spinto verso il basso.

Tornando all’analogia col nuoto, è facile convincersi che per tenersi a galla è necessario spendere dell’energia. Muovendoci spingiamo acqua verso il basso: l’energia contenuta nei nostri muscoli diventa energia cinetica dell’acqua, che passa da una condizione di quiete ad uno stato di moto (prima era ferma, ora si muove verso il basso).

La stessa cosa accade all’aereo-tubo: l’energia associata a l’aria che viene sacrificata (spinta verso il basso) è sostanzialmente energia sprecata e si manifesta come una forza di resistenza aerodinamica, quella forza che deve essere bilanciata dai propulsori.

Per convincerci di ciò basta pensare ai due casi limite del tubo: quando è piegato a 0° non produce portanza e non ha neanche resistenza, mentre quando è piegato a 90° genera molta portanza e moltissima resistenza.

Sorge a questo punto un dubbio: l’ala non è un tubo, come fa fisicamente a deviare aria verso il basso? La risposta è mediante due contributi: l’angolo d’attacco e la curvatura.

aoa

L’angolo d’attacco è l’angolo che l’ala forma con la corrente, e può essere modificato per aumentare o diminuire la forza di portanza.

Quando lanciamo un aereo di carta lo puntiamo col muso verso l’alto, per dargli un certo angolo d’attacco. Maggiore è l’angolo d’attacco, maggiore sarà la portanza e quindi la quota raggiunta dall’aereoplanino (nei limiti dello stallo).

La curvatura è invece una caratteristica geometrica dell’ala ed è più difficile da modificare (può essere fatto ad esempio mediante i flap).

camber

Questa teoria è molto semplicistica e porta a dei risultati numerici sbagliati, ma ci consente di capire alcuni dei fenomeni legati al volo degli aerei.

Riassumiamo quanto detto finora:

Per generare portanza un aereo deve deviare l’aria verso il basso, mediante l’angolo d’attacco e la curvatura. Come conseguenza di ciò nasce una resistenza, che è nota come resistenza aerodinamica.

Questione di pressione

Facciamo un altro passo avanti.
La storia che più spesso viene raccontata per descrivere il funzionamento di un’ala è quella del Teorema di Bernoulli, ma nel descriverla spesso si commette un errore.
Rivediamola brevemente.

bern

Il Teorema di Bernoulli afferma che la velocità di un fluido è legata inversamente alla sua pressione, ovvero:

Se un fluido aumenta la sua velocità, si riduce la sua pressione

profilo

L’ala, vista in sezione, è un profilo che in genere ha la parte superiore (dorso) curva e quella inferiore (ventre) piatta.

Le particelle d’aria che investono questa sezione dell’ala, da sinistra verso destra, si dividono per passare in parte sopra e in parte sotto l’ala. Le particelle che percorrono la parte superiore devono seguire un percorso più lungo rispetto a quelle che passano sotto l’ala.
Dato che le particelle devono ricongiungersi nello stesso istante, le particelle superiori sono più veloci di quelle inferiori (vedi coppie di pallini blu/rosso nella figura).

Essendo le particelle sopra più veloci di quelle sotto, la pressione sopra è più bassa della pressione sotto.

ventosa

Come una ventosa rimane attaccata ad una superficie liscia generando una forza dovuta alla depressione che nasce al suo interno, così l’ala viene trattenuta in volo dalla depressione che si genera sul suo dorso.

Questa storia sembra molto convincente, ma purtroppo è vera fino a un certo punto.

Per prima cosa, essa spiega solo la portanza generata da un’ala curva e come abbiamo detto prima, la portanza dipende sia dalla curvatura, sia dall’angolo d’attacco.
Come prova di ciò basti pensare agli aerei di carta: hanno un profilo sottile, che non è curvo e certamente non ha il dorso più lungo del ventre, eppure volano!
Se ciò non bastasse, pensiamo allora ad un aereo acrobatico che è in grado di volare sottosopra. Secondo questa teoria un aereo non dovrebbe essere in grado di volare sottosopra!

Seconda cosa, non è vero che due particelle d’aria che siano vicine tra loro all’inizio del percorso debbano reincontrarsi dopo aver attraversato l’ala.

Nella realtà, le particelle d’aria che passano sopra il dorso dell’ala sono realmente più veloci, ma sono talmente veloci che arrivano alla fine del profilo molto prima delle particelle che passano sotto l’ala!

Il percorso reale che percorrono le particelle d’aria è molto complicato da valutare. Per chi volesse approfondire la questione può leggere l’Approfondimento #1 alla fine dell’articolo, per il momento basti sapere che per comprendere appieno la questione sarebbe necessario entrare nel merito delle equazioni che governano la fluidodinamica, le cosiddette Navier-Stokes.

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Queste equazioni sono talmente complicate che non è possibile risolverle analiticamente, e se anche si cercasse di risolverle numericamente si incorrerebbe in problemi tali da richiedere potenze di calcolo inimmaginabili.

Una simulazione numerica semplificata delle Navier-Stokes mostra cosa accade più verosimilmente alle particelle d’aria:

particelle

Riassumiamo quanto detto in questo paragrafo:

Le particelle d’aria che scorrono sopra l’ala sono più veloci di quelle che scorrono sotto. A causa di ciò, per il Teorema di Bernoulli, nasce una differenza di pressione che permette all’aereo di rimanere in volo.

L’ala finita

Abbiamo visto quindi cosa succede globalmente ad un aereo che investe una corrente, e cosa succede nel dettaglio di una singola sezione dell’ala.

Apparentemente le due storie sembrano non essere correlate, ma grazie al genio di Ludwing Prandtl, e alla sua teoria del Filetto Portante anticipata in parte da Lanchester, oggi sappiamo cosa accade attorno ad un’ala.

Vogliamo capire come la storia della depressione sul dorso dell’ala si raccordi con quella del flusso d’aria deviato verso il basso (il tubo-ala).

Consideriamo un’ala nelle sue dimensioni reali:

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Sopra l’ala c’è una bassa pressione, sotto l’ala c’è alta pressione.
In mezzo c’è l’ala.
Dato che l’ala è impermeabile, l’aria che sta sopra rimane sopra, l’aria che sta sotto rimane sotto.
Ma cosa succede alle estremità?

Alle estremità l’ala finisce e l’aria ha la possibilità di fluire dalla zona di alta pressione alla zona di bassa pressione. Come un palloncino (alta pressione) si svuota nell’ambiente, così una confezione sottovuoto (bassa pressione) «risucchia aria» dall’ambiente.

Questo moto dell’aria, che fluisce dalla parte inferiore alla parte superiore dell’ala, combinato con il moto di avanzamento, genera i cosiddetti vortici d’estremità.

vortici_ala

Questi vortici tendono a far ruotare l’aria attorno alle estremità dell’ala, spingendola verso il basso lungo tutta l’apertura alare.

down

Dunque:

A causa della differenza di pressione tra dorso e ventre dell’ala si generano dei vortici alle estremità alari che spingono l’aria verso il basso.

Dato che questi vortici sono legati alla differenza di pressione e sono i responsabili della deviazione di aria verso il basso (e quindi della portanza), si potrebbe pensare che siano un’entità favorevole.
Non è così.
Per approfondire la questione vi rimando all’Approfondimento #2 al termine dell’articolo.

Il cerchio si chiude?

Ecco finalmente che le due storie tornano a congiungersi!

Siamo partiti da un tubo che devia l’aria verso il basso, siamo passati per la dinamica del profilo alare e abbiamo visto come nasce la portanza.
La storia sembrerebbe definitivamente chiusa, ma purtroppo non è così! Io la chiudo qui perché proseguire oltre sarebbe troppo complicato sia per me che per chi legge, ma l’aerodinamica è una materia molto, molto, molto, MOLTO complicata, oggetto di forti studi e ricerche. E forse anche per questo è così affascinante.

La teoria di cui abbiamo parlato fin’ora è una teoria che porta a risultati numerici in accordo con i dati sperimentali (come si dice qui a ingegneria!), ma soltanto se ci si riferisce a condizioni “convenzionali”, quale è la condizione di crociera di cui abbiamo parlato prima.
In condizioni complicate come lo stallo tutt’ora non esiste alcuna teoria corretta in grado di descrivere l’aerodinamica.

Come ho detto prima, nel settore dell’aeronautica (almeno dal punto di vista industriale) ciò che regna è l’esperienza.

Spero di non avervi annoiato con questo articolo, e di aver chiarito a qualcuno almeno una parte della magia che si nasconde dietro quei bisonti che volano in cielo sopra le nostre teste, e che tanto avrebbe voluto vedere Leonardo.

magic

Approfondimento #1

coandaCome abbiamo già detto, l’aumento di velocità sul dorso dell’ala, che porta ad una riduzione di pressione e quindi alla genesi della portanza, non è legato alla differenza delle lunghezze di percorso come molti erroneamente credono.

La mia spiegazione è stata che questo fenomeno si osserva studiando le Navier-Stokes, ma esiste un ragionamento euristico che possiamo seguire per comprendere cosa accade fisicamente?
Più o meno sì.
E tutto parte dal cosiddetto Effetto Coanda.

L’Effetto Coanda mostra la tendenza di un fluido a seguire la curvatura delle superfici su cui scorre.

Per convincersi di ciò è sufficiente avvicinare un cucchiaio al getto d’acqua del rubinetto, come mostra l’immagine di lato.

Dunque, una corrente che fluisce sul bordo d’attacco di un profilo tenderà a seguirlo (entro certi limiti, vedi stallo) lungo tutta la curvatura.

Le particelle d’aria che fluiscono lungo questa curva seguiranno quindi una traiettoria curvilinea, e come ogni oggetto che si muove lungo una traiettoria curvilinea, sarà soggetto ad una forza centrifuga bilanciata da una forza centripeta.
Senza una forza centripeta la particella non potrebbe seguire la traiettoria curva.
Da dove proviene questa forza?
Qui entra in gioco la differenza di pressione! Affinché una particella fluida possa seguire una traiettoria curvilinea, deve esistere una differenza di pressione (o meglio, un gradiente di pressione) perpendicolare alla traiettoria della particella.

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Nell’immagine è possibile osservare un profilo simmetrico ad angolo d’attacco.

Osserviamo la linea di corrente centrale, quella tra upper e lower.

Anche se il profilo è simmetrico, quando è inclinato di un certo angolo rispetto alla corrente, le particelle d’aria dovranno seguire una certa curvatura del profilo che sarà maggiore sul dorso che sul ventre. Il loro percorso partirà infatti da un punto leggermente in basso al profilo.
Di conseguenza, l’intensità dell’Effetto Coanda sarà maggiore sopra che sotto, provocando una forte depressione sopra e una leggera sovrapressione sotto, da cui il resto del discorso visto prima.

Purtroppo anche questo discorso ha dei buchi, ma non si può scendere così a fondo nei particolari senza mettere in gioco strumenti matematici.

Approfondimento #2

Da come ho scritto la conclusione del paragrafo sull’ala finita, i vortici sembrerebbero un’entità favorevole, essendo questi responsabili della portanza. Come ho però sottolineato nel paragrafo sulla Teoria Globale, associata ad una portanza c’è sempre una resistenza aerodinamica. Approfondiamo questo discorso.

Una stessa portanza può essere generata deviando molto una piccola quantità d’aria, oppure deviando poco una grande quantità d’aria. Si può dimostrare facilmente che in termini energetici, la seconda strada è molto più vantaggiosa della prima. (Basti pensare che lo spreco di energia è legato linearmente alla massa d’aria deviata e con una potenza quadrata alla velocità).

La deviazione del flusso è data dai vortici, mentre la quantità d’aria deviata è data dalle dimensioni dell’ala, o meglio dal suo allungamento.
Dunque, un’ala molto lunga (un aliante), che devia di poco una grande quantità d’aria, sarà molto più efficiente di un’ala corta (caccia militare) che devia di molto una piccola quantità d’aria.

Essendo i vortici legati alla deviazione dell’aria, più piccoli sono i vortici, meno resistenza subirà l’ala. Questo ovviamente a parità di portanza necessaria per il volo.


Perché i razzi volano, se non hanno le ali?

Razzi e aerei sono entrambi oggetti in grado di volare ma, mentre gli aerei hanno delle ali di grosse dimensioni, i razzi hanno soltanto delle minuscole alette posizionate alla base. Come fanno allora a volare?

Differenza tra razzi e aerei

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Per capire bene la differenza tra un razzo e un aereo, bisogna intendersi innanzitutto su cosa significhi volare. Se lancio una pietra, questa si muove nell’aria per un certo periodo e poi ricade a terra. Se lancio un aereo di carta, questo seguirà una traiettoria un po’ diversa ma alla fine subirà la stessa sorte. Che differenza c’è?
La differenza sostanziale è che l’aereo di carta interagisce con l’aria dando vita ad una forza (portanza) che si oppone alla gravità, mentre la pietra interagisce con l’aria semplicemente con una resistenza (resistenza aerodinamica). I due comportamenti si possono riscontrare anche mettendo una mano fuori dal finestrino di un’auto in corsa: tenendo la mano in orizzontale, sperimentiamo una forza verso l’alto o verso il basso a seconda di come la incliniamo, mentre tenendola in verticale sperimentiamo una forza all’indietro.

Per quanto riguarda il razzo, questo è molto più simile ad una pietra che ad un aereo!
Sia il razzo che l’aereo hanno un motore, ma la loro funzione è molto diversa. L’aereo si oppone alla gravità grazie alla portanza generata dalle ali, e il motore serve a farlo avanzare orizzontalmente (come le ruote di un’auto). Il razzo è dotato invece di un motore disposto verticalmente e genera una forza (spinta) che si oppone direttamente alla forza di gravità (peso).

aereo_forze

Per cui, sia l’aereo che il razzo sono in grado di sollevarsi autonomamente da terra, solo che lo fanno seguendo traiettorie molto diverse: se un razzo venisse lanciato orizzontalmente, la spinta del motore lo farebbe avanzare in orizzontale, ma non sarebbe in grado di sostenerlo verticalmente (dato che la spinta è diretta in orizzontale e non ci sono ali!), per cui ricadrebbe a terra più o meno come un proiettile. Per questo motivo gli aerei si utilizzano per lunghi spostamenti orizzontali mentre i razzi per spostamenti verticali.

Le piccole alette che si trovano alla base di ogni razzo servono a controllarne la direzione. Muovendole a coppie è infatti possibile modificare la direzione del razzo sfruttando l’interazione con l’aria, proprio come fanno gli alettoni di un aereo.

Non tutti i razzi però funzionano in questo modo. C’è infatti una categoria di missili, detti missili da crociera, che sono provvisti di piccole ali che gli consentono di raggiungere grosse distanze sfruttando il fenomeno della portanza come gli aerei.

Differenze tra i motori

Un’altra differenza fondamentale tra aerei e razzi è il motore. Ad essere precisi, con il termine razzo ci si riferisce propriamente al motore di un velivolo (tipicamente il missile), ma nel linguaggio comune (e anche in questo articolo) si confonde impropriamente il termine razzo con missile.

razzo-estintoreEntrambi i motori funzionano sfruttando il Terzo Principio della Dinamica: se salgo sui pattini e lancio un grosso masso in avanti, per il principio di azione e reazione riceverò una spinta all’indietro che mi farà muovere nella direzione opposta alla pietra. Se invece di lanciare pietre aziono un estintore, l’effetto è lo stesso: il gas va da una parte, io vengo spinto dall’altra. La stessa cosa succede con i motori di razzi e aerei.
I motori degli aerei funzionano sfruttando l’aria che li circonda, e si dicono infatti respiranti (air-breathing engine). Catturano l’aria dalla parte anteriore del motore, la riscaldano bruciando un combustibile e la accelerano verso la parte posteriore del motore.
I motori a razzo non hanno bisogno di aria, ma generano i gas propulsivi mediante una reazione chimica. Per questo i motori degli aerei non possono superare una quota massima, mentre quelli dei razzi possono funzionare anche nello spazio.

motori

Ed è per questo motivo, che Iron Man è in grado di volare! Con la spinta generata dalle mani contrasta la gravità, mentre con i piedi avanza orizzontalmente 😀

IRON MAN


Ripresa in time lapse della ISS

Aurora boreale, temporali, fulmini, luci notture, in una serie di scatti consequenziali ripresi dalla Stazione Spaziale Internazionale.

Earth | Time Lapse View from Space | Fly Over | Nasa, ISS from Michael König on Vimeo.


La Gelmini sull’esperimento al Cern

Come avrete senz’altro sentito dire, al CERN è stato effettuato un esperimento in cui è stato sparato un fascio di neutrini tra il laboratorio del Gran Sasso e il CERN di Ginevra.
L’esperimento (OPERA) doveva studiare il fenomeno dell’oscillazione dei neutrini e consisteva nello sparare un fascio di neutrini all’interno della roccia, tra i due laboratori distanti 730 km.
L’interazione dei neutrini con la materia è talmente bassa, che è come se viaggiassero nel vuoto. Ciò che è accaduto, è che i neutrini sono arrivati da un laboratorio all’altro prima del previsto, hanno infatti impiegato 60 nanosecondi (6·10-9 secondi ) in meno rispetto alla luce. Affermare comunque che è stata superata la velocità della luce è un’affermazione troppo grossa, dato che comunque stiamo parlando di valori che si discostano di poco dalle previsioni. Basta che la distanza tra i due laboratori differisca di soli 18 metri (su 730 km sono lo 0.0025%) che i conti ritornano. Ovviamente le misurazioni fatte sono state ripetute più e più volte, e si basano su calcoli statistici, ma nulla vieta la possibilità di un errore sistematico che abbia sballato tutto.

Alla luce di tutto ciò, oggi ho letto questo fantastico articolo del nostro Ministro dell’I-S-T-R-U-Z-I-O-N-E, Mariastella Gelmini.

Ufficio Stampa

Roma, 23 settembre 2011

Dichiarazione del ministro Mariastella Gelmini
“La scoperta del Cern di Ginevra e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è un avvenimento scientifico di fondamentale importanza.”

Rivolgo il mio plauso e le mie più sentite congratulazioni agli autori di un esperimento storico. Sono profondamente grata a tutti i ricercatori italiani che hanno contribuito a questo evento che cambierà il volto della fisica moderna.
Il superamento della velocità della luce è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di tutto il mondo.

Alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro.

Inoltre, oggi l’Italia sostiene il Cern con assoluta convinzione, con un contributo di oltre 80 milioni di euro l’anno e gli eventi che stiamo vivendo ci confermano che si tratta di una scelta giusta e lungimirante”.

Chi glielo spiega che non c’è nessun tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso?
Non sa neanche come vengono investiti i nostri soldi. Il Ministro dell’Istruzione.

Il link al comunicato: http://www.istruzione.it/web/ministero/cs230911 [FreezePage]


Powertrekk, ricarica i dispositivi USB con le bugie!

Ho appena letto un articolo (FP) su Tom’s Hardware davvero molto divertente.
Cito direttamente:

MyFC, un’azienda svedese specializzata nelle celle combustibili, ha realizzato PowerTrekk, un sistema portatile basato sull’idrogeno in grado di ricaricare i dispositivi USB. Usando una tecnologia simile a quella applicata alle auto, sfrutta processi chimici per ottenere energia elettrica dall’acqua.

Fin qui, nulla di particolarmente strano. Le celle a combustibile sono dei dispositivi che permettono di ottenere energia elettrica da dei reagenti (generalmente idrogeno e ossigeno) evitando la reazione di ossido-riduzione, e quindi senza la trasformazione dell’energia in calore, che è meno efficiente. Queste celle a combustibile vengono effetivamente utilizzate sulle auto a idrogeno e permettono di ottenere energia elettrica da questo gas, per alimentare dei motori elettrici. Dire però che si ottiene energia elettrica dall’acqua è un errore, perché è vero che dall’acqua si ottiene l’idrogeno, ma lo si ottiene per elettrolisi, un processo che richiede energia elettrica per avvenire.

Ma andiamo avanti:

MyFC ha realizzato PowerTrekk, la prima soluzione portatile per fornire energia elettrica ai dispositivi USB tramite l’idrogeno. Basato su una tecnologia simile a quella usata nei prototipi per auto, questo dispositivo usa l’acqua per ottenere l’idrogeno, convertito successivamente in elettricità. Tutto quello che devono fare gli utenti è inserire una specie di serbatoio (PowerPukk) all’interno del PowerTrekk e aggiungere acqua.

Ecco qui la prima grossa cavolata. Come ho detto prima, l’idrogeno si ottiene dall’acqua tramite elettrolisi, e per avere l’elettrolisi bisogna utilizzare energia elettrica. Se anche ci fosse una batteria, che permette di effettuare l’elettrolisi, che procura l’idrogeno per ottenere elettricità, l’elettricità che si otterrebbe sarebbe inferiore a quella della batteria di partenza!
Questo per il semplice motivo che, durante una trasformazione dell’energia, una parte di questa viene sempre dissipata.
Un esempio simile: con una batteria alimento un motore, che alimenta una dinamo che ricarica la batteria. In linea di principio, il motore dovrebbe girare all’infinito! Purtroppo non è così, la dinamo infatti non riesce a recuperare tutta l’energia che viene trasmessa dal motore, che viene quindi dissipata sottoforma di calore. È cioè energia persa. (Vedi: Secondo principio della termodinamica)

La ricarica dei dispositivi, come smartphone, fotocamere e navigatori satellitari, avviene tramite connessione USB, e non è influenzata da fattori ambientali, come nel caso dei pannelli solari. I processi chimici che avvengono all’interno del dispositivo sono strettamente controllati, e come reazione producono una quantità minima di vapore acqueo.
Nello specifico, si scopre che l’energia elettrica è creata da un sistema di membrane in grado di convertire l’idrogeno presente nell’acqua. I realizzatori informano che PowerTrekk è un sistema completamente passivo, che ha bisogno soltanto di acqua e di operare all’aria aperta.

Se il risultato di questa magia è una quantità minima di vapore acqueo, perché non lo si fa condensare e lo si rimette nel serbatoio, in modo da ottenere energia infinita? 😀
Per quanto riguarda le membrane, probabilmente si riferiranno agli elettrodi che vengono utilizzati nell’elettrolisi per la produzione di idrogeno, che hanno la forma di piastre per aumentare la superficie di contatto con l’acqua e migliorarne la produzione:



Il “serbatoio” in grado di compiere la magia è considerato un rifiuto elettronico, e farà parte di un programma per essere successivamente riciclato.

Almeno hanno ammesso che è una magia!

Ma andiamo a vedere cosa c’è scritto sul sito del produttore. Sotto la voce “How it works”, si limitano a dire che basta riempirlo d’acqua e questo produce corrente elettrica.
Sotto la voce “Technical Description” forniscono addirittura dei dati su quanta corrente verrebbe prodotta da questo miracoloso prodotto:

A quanto sembra, pare che il dispositivo abbia una batteria interna da 1600 mAh che funge da «buffer». È improbabile che questa venga utilizzata per l’elettrolisi e poi per produrre corrente con l’idrogeno, perché come ho già detto sarebbe una trasformazione a perdere, e quindi inutile. È possibile che serva semplicemente ad illudere gli acquirenti che il prodotto funzioni davvero, caricando i dispositivi collegati tramite la batteria interna. Ma una volta esaurita quella, niente più corrente!

Sfortunatamente, non vi è alcuna indicazione su come fare per procurarsi questo miracoloso gadget che vìola le leggi della fisica. C’è però un indirizzo email per i distributori interessati a vendere questo prodotto.

A questo punto, non posso che augurarmi che sia tutto uno scherzo, una pubblicità virale di qualche compagnia elettrica che cerca di farsi pubblicità puntando sull’ingenuità di chi condivide le informazioni su questo prodotto. L’alternativa possibile è invece quella della truffa, che potrebbe essere effettuata a scapito dei «distributori» che acquisterebbero a caro prezzo questo prodotto, per poi ritrovarsi con delle borracce colorate.

In ogni caso, il mio consiglio è quello di diffidare (sempre) da chi propone prodotti così innovativi senza fornire adeguate spiegazioni sul loro funzionamento. E ovviamente usare sempre la testa!


La scala dell’universo

Quanto è grande una formica rispetto a un cristallo di sale? O un nanotubo di carbonio rispetto a un atomo di idrogeno? O il nucleo di un atomo rispetto ad un elettrone? E la nostra galassia rispetto al resto dell’universo?

Questa meravigliosa applicazione in Flash permette di zoomare dall’infinitamente piccolo degli elementi della teoria quantistica, fino all’infinitamente grande dei corpi celesti dell’universo intero.

Fonte: http://htwins.net


Giornata Anti-Superstizione

Oggi, Venerdì 17, è stata organizzata dal CICAP la Giornata Anti-Superstizione.
In tutta Italia sono state organizzate delle manifestazioni contro la superstizione, durante le quali sarà possibile passare sotto alle scale, gettare del sale a terra, rompere degli specchi, aprire degli ombrelli al chiuso, con dei veri e propri percorsi a ostacoli!

Se siete tra fortunati a trovarvi in una delle città nella quale è stata organizzata la manifestazione, vi consiglio vivamente di partecipare.
Il calendario degli appuntamenti è disponibile al seguente indirizzo:
http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=274280

Il motto della giornata sarà: «Non è vero e… non ci credo!»


Salviamo Città della Scienza

La “Città della Scienza” di Napoli, il più grande museo scientifico di nuova generazione d’Italia e uno dei maggiori d’Europa, rischia di chiudere.

Firma subito l’Appello per salvare la “Città della Scienza”!

Napoli e l’Italia non possono permettersi di perdere questo patrimonio di cultura scientifica e di eccellenza museale. Nella Città della Scienza c’è un museo interattivo, hands/on, in cui è «vietato non toccare». Perchè chiede il coinvolgimento attivo – con le mani, con la mente e anche col cuore – nell’interrogare la natura e nell’apprendere un metodo, prima ancora che delle nozioni. Ma la Città della Scienza è costituita da una serie di altre attività – organizza eventi e congressi, partecipa a progetti nei settori di “scienza e società”. A Città della Scienza sono nate decine di piccole imprese “fondate sulla conoscenza”.

L’obiettivo di Città della Scienza è diffondere la cultura scientifica per favorire uno sviluppo culturale, civile ed economico fondato sulla conoscenza. Per questo può essere definito un “museo totale”. A tutt’oggi questo centro di diffusione della cultura scientifica è l’unica attività produttiva operativa in un’area, quella di Bagnoli, che fino a quarto di secolo fa ha ospitato con l’Italsider la più grande concentrazione industriale del Mezzogiorno.

Città della Scienza vanta notevoli performance. Ogni anno è visitato da almeno 500.000 persone. Ha un patrimonio di quasi 100 milioni di euro. Conta su 79 dipendenti, 5 borsisti e 13 collaboratori a progetto. Ha un bilancio di 10 milioni, coperti al 65% – caso unico nel continente – non da fondi pubblici ma operando sul mercato.

Ebbene, malgrado tutto questo Città della Scienza rischia di chiudere. Sia perché vanta una quantità di crediti esigibili dalla Regione Campania che accumulatisi nel corso di diversi anni ammontano oggi a 7,6 milioni di euro. Sia perché lo stesso Ente – che è uno dei partner istituzionali principali – ha annunciato per motivi di bilancio tagli decisivi per i progetti ancora in atto e per i progetti futuri.

Città della Scienza è una realtà della comunicazione scientifica di interesse nazionale. Lanciamo questo appello a tutte le autorità competenti, nazionali e locali, perché Città della Scienza non muoia.

Tra i primi firmatari:

  • Carlo Bernardini, Università La Sapienza di Roma, Roma
  • Stefano Fantoni, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), Trieste
  • Umberto Guidoni, astronauta, Roma
  • Margherita Hack, Università di Trieste, Trieste
  • Tommaso Maccacaro, Presidente INAF, Milano
  • Ignazio Marino, professor of Surgey, Jefferson Medical College, Thomas Jefferson University (Usa) e Senatore della Repubblica, Roma
  • Piergiorgio Odifreddi, Università di Torino, Torino
  • Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Presidente Accademia Nazionale delle Scienze   detta dei XL, Roma

Firma subito l’Appello per salvare la “Città della Scienza”!

Da: scienzainrete.it